Un sito archeologico, un’opera d’arte, un canto popolare, sono cultura? E una partita di calcio, la lingua nella quale ci esprimiamo, lo sono? Quando parliamo di cultura, a cosa facciamo davvero riferimento?
Dovettero essere più o meno queste le domande che furono poste alla Conferenza della Città del Messico del 1982, quando ci accorse che l’ambito di protezione assicurata dall’UNESCO seguiva una visione troppo monumentale del bene culturale, intendendolo esclusivamente come prodotto dell’ingegno umano . A quella visione mancava la parte collettiva della cultura che interpreta i prodotti culturali come combinazione delle attività e dei sistemi di valori di un popolo, di una comunità, che non si traducono in beni materiali delle singole menti, ma sono il prodotto di una stratificazione dei contributi dei partecipanti a questo gruppo.
Accanto ai siti e alle opere dell’ingegno umano patrimonio dell’umanità, da un punto di vista antropologico sono cultura le norme, i valori, le credenze ei simboli che incontriamo nella vita di ogni giorno e che ci permettono di dare un senso a quello che ci circonda.
Accanto alla Convenzione UNESCO del 1972, dunque, che protegge il patrimonio tangibile, nel 2003 viene adottata un’altra convenzione che tutela l’altra parte del patrimonio culturale: quello intangibile.
Si tratta di una convenzione che riscuote un largo successo, che evidentemente risponde a un bisogno diffuso: sono 190 i Paesi che l’hanno recepita. Noi l’abbiamo fatto nel 2007.
La convenzione istituisce due elenchi: la Lista Rappresentativa, che raccoglie gli elementi culturali intangibili che ogni Paese considera appunto rappresentativi del proprio patrimonio, e la Lista di Salvaguardia Urgente, che raccoglie gli elementi cultuali intangibili che necessitano di intervento di protezione urgente, perché in pericolo . Dunque, non una decorazione che celebra un merito, dunque – certo, le liste sono anche quello -, ma soprattutto uno stimolo per assicurare al patrimonio la miglior salvaguardia possibile. E si basa su un’idea semplice;non solo i singoli Stati hanno interesse a proteggere il patrimonio che si trova sul loro territorio, ma anche l’intera comunità internazionale, perché la perdita di ogni patrimonio è una perdita per tutta l’umanità, nel suo insieme. Anche il saper fare liutario tradizionale cremonese, dunque, è un patrimonio condiviso da tutti i Paesi del mondo che sono ugualmente interessati alla sua corretta protezione.
Una delle maggiori differenze tra patrimoni tangibili e intangibili sta nel carattere sociale del patrimonio culturale, evidentemente meno rilevante per il primo e, al contrario, del tutto prevalente per il secondo: il patrimonio, infatti, viene riconosciuto proprio perché esiste un gruppo, una comunità , che si identifica attraverso di esso. E comunità, pratica, identificazione, e trasmissione sono fondamentali non solo per definire il patrimonio intangibile ma anche per la sua salvaguardia.
Pratica indica la capacità di fare qualcosa. Sono pratica le tradizioni e le trasmissioni orali, incluse le lingue non in quanto lingue in sé, ma in quanto veicolo per il patrimonio. Non sono, quindi, protette di per sé, ma in quanto strumento che rende possibile la trasmissione; come il silbo de la Gomera, un particolare dialetto parlato – o meglio, fischiato – nell’isola canaria di Gomera, in Spagna, nato dall’esigenza dei pastori di comunicare sui monti ad alcuni km di distanza e oggi minacciato dalla diffusione dei telefoni cellulari.
La pratica, dunque, è la capacità di fare qualcosa: un oggetto, una rappresentazione, o anche qualcosa di effimero come i meravigliosi disegni sulla sabbia di Vanatu , che durano il tempo di un colpo di mare.
Tra le varie categorie di pratica, è annoverato l’artigianato tradizionale: la categoria in cui è iscritto il saper fare liutario tradizionale cremonese.
È fondamentale. La stessa candidatura deve essere preceduta da un lungo lavoro di coinvolgimento, il più ampio possibile, di gruppi e individui: gli stessi che sono poi chiamati ad assicurare l’elemento la miglior trasmissione e protezione possibile, per esempio, attraverso il piano di salvaguardia , che, infatti, va elaborato con la comunità di pratica.
Come si identifica la comunità? È sempre uno dei temi più delicati; alcuni elementi, infatti, hanno comunità molto ampie, si pensi al tango, al flamenco o al reggae; in quel caso viene indicata una comunità emblematica, cioè una comunità speciale da cui l’elemento ha avuto origine che tuttora è portatrice di quell’elemento.
La commercializzazione del patrimonio, pur costituendo un fattore di rischio, non è un ostacolo in sé: il patrimonio, infatti, può essere oggetto di transazioni commerciali, promozionali e turistiche, quel che conta è che i proventi della commercializzazione del portale a beneficio della comunità, nel rispetto dei suoi valori e nella prospettiva dello sviluppo sostenibile.
È il perpetuarsi dell’elemento culturale, da individuo a individuo, da padre a figlio, da maestri a praticanti, da insegnanti a discenti; un passaggio nel tempo che ne comporta la ricreazione. L’elemento, infatti, è qualcosa di vivo e, come ogni cosa vivente, soggetto al mutamento. Esiste un’antichissima danza africana diffusa in Malawi e Zambia, per esempio, in cui i danzatori incarnano personaggi e fatti noti alla comunità. Fra questi si trovano, per esempio, i trafficanti di schiavi, evidentemente introdotti dopo i contatti con gli europei; oggi nella danza sono contemplati elicotteri e motociclette.La questione è: quando i cambiamenti si configurano come varianti di uno stesso elemento (la danza è la stessa, nonostante motociclette ed elicotteri) e quando l’evoluzione si allontana così tanto dalle origini da configurarsi come qualcosa di distinto, separato? La difficoltà sta tutta lì, perché l’elemento è vivo e mutevole, ma occorre distinguere fra trasformazione naturale e alterazione artificiale.
Questo è uno dei temi caldi che la comunità dei liutai affronterà nelle sessioni di lavoro del piano di salvaguardia che si terranno a partire da settembre: capire chi, capire cosa, capire come. Sembra semplice ma non lo è.
Per approfondire il tema dei presupposti alla base del piano, ascolta il contributo di Tullio Scovazzi , professore ordinario di diritto internazionale all’Università di Milano-Bicocca, all’incontro di presentazione dello scorso 10 maggio.